Tra ostilità nei confronti dell’Occidente e resistenza alle sue politiche

2007-12-05:: Occidente e mondo arabo

 

Tutti i governi arabi furono colti di sorpresa dall’improvviso cambiamento della strategia americana in Medio Oriente, dopo i fatti dell’11 settembre 2001. La maggior parte di essi guardò all’insistenza di Washington sulle riforme politiche e sociali – intese come mezzo volto a garantire la stabilità della regione sul lungo periodo – come ad un grave errore, non solo dal punto di vista dei loro interessi, ma anche degli interessi degli stessi Stati Uniti. Adottare questa scelta significava infatti imboccare la strada che avrebbe portato direttamente alla destabilizzazione, e forse alla scomparsa, di questi regimi. Per questa ragione i governi arabi, nonostante i rischi che ciò avrebbe comportato per il loro futuro, non esitarono a manifestare a Washington le loro divergenze, ed a far di tutto per spingere l’amministrazione americana a recedere dalle proprie posizioni. In meno di due anni, i regimi arabi riuscirono, senza aver realizzato alcun cambiamento, a convincere Washington che questi progetti di riforma non erano nell’interesse di nessuno: né dei governi della regione, né degli Stati Uniti. Con il miglioramento delle condizioni di sicurezza in Iraq, e con la convocazione della Conferenza di Annapolis, le acque sono tornate a calmarsi quasi del tutto.

Così, grazie alla comunanza di interessi, si può dire che i regimi arabi abbiano compreso l’America più di quanto l’America abbia compreso se stessa. Essi l’hanno aiutata a ritrovare la “giusta” direzione nella salvaguardia dei propri interessi, i quali effettivamente coincidono con gli interessi di quelle forze arabe su cui si fonda l’ordine regionale mediorientale nell’era successiva al movimento popolare panarabo. Il pilastro fondamentale di questo ordine, retto dall’alleanza fra Washington ed i regimi arabi, consiste nel comune interesse a distogliere i popoli arabi dall’aspirazione all’autodeterminazione, ed a privarli della loro sovranità.

In questa battaglia, come in molte altre battaglie incentrate sull’aspirazione alle riforme ed al cambiamento, i governi arabi, seppure sulla base dei loro differenti orientamenti, hanno sfruttato l’ostilità nei confronti dell’Occidente per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica araba dai problemi interni, rivolgendola all’estero. In questo contesto, essi si sono impegnati – e si impegnano tuttora – a diffondere una forma di ostilità che va al di là dell’opposizione alle politiche dell’Occidente, per giungere ad un rifiuto complessivo della civiltà e della cultura dei paesi occidentali, della loro storia e della loro identità. I regimi arabi hanno approfittato – e continuano ad approfittare – delle provocazioni provenienti da alcuni ambienti razzisti all’interno dei paesi occidentali per fare dell’odio nei confronti dell’Occidente un mezzo volto a creare una barriera insuperabile fra l’opinione pubblica araba e le conquiste della modernità politica, giuridica e civile affermatesi in questi paesi. E’ in questo modo che i governi arabi mobilitano l’opinione pubblica dei loro paesi al proprio seguito, spacciandosi come unico baluardo contro l’egemonia culturale e politica dello straniero.

I regimi arabi sono dunque riusciti a far attecchire, nell’opinione pubblica dei loro paesi, l’identificazione fra le politiche occidentali – ed americane in particolare – e la cultura, la civiltà e l’identità stessa dell’Occidente, invece di spingere le masse arabe a guardare a queste politiche come al risultato delle scelte strategiche delle elite al potere – come è avvenuto ad esempio nel caso dei neocon a Washington. Invece di analizzare le molteplici e differenti strategie politiche delle capitali occidentali, i governi arabi hanno trasformato l’ostilità dei loro popoli nei confronti delle politiche occidentali in avversione nei confronti dell’Occidente stesso, trasformandola in mobilitazione contro di esso. In questo modo essi hanno impedito che si delineasse una politica araba propositiva ed efficace, in grado di far breccia nell’opinione pubblica occidentale allo scopo di difendere gli interessi ed i diritti degli arabi.

Ovviamente, vi sono numerose ragioni che spingono le masse arabe ad essere ostili all’Occidente, a non distinguere fra le politiche dello stato e la cultura della società, e ad ignorare le divisioni esistenti all’interno dell’opinione pubblica nei paesi occidentali. Fra queste ragioni vi è certamente il disprezzo dei diritti degli arabi, e la diffamazione della loro cultura nei mezzi di informazione occidentali. Inoltre, il diffondersi di gruppi terroristici legati al mondo arabo ha fatto sì che ai sentimenti di disprezzo e di denigrazione nei confronti degli arabi – dovuti alla loro supposta arretratezza – si sommassero sentimenti di paura, di odio e di sfiducia, se non addirittura di vendetta, come è emerso nel corso della guerra in Iraq dalla pratica delle torture e dal trattamento disumano inflitto ai prigionieri iracheni, ed in generale agli abitanti del paese.

Ciò nonostante, non è interesse degli arabi assimilare le politiche occidentali alle società che ad esse sono soggette, così come non è loro interesse considerare queste politiche come il riflesso naturale della cultura occidentale, o addirittura degli interessi nazionali a lungo termine di questi paesi. Analogamente, è un errore guardare all’Occidente ed a tutto ciò che esso produce come se fosse “il Male”. In generale, è un grave errore confondere il potere con la società, in qualsiasi paese. Tutto ciò serve soltanto a nascondere la nostra incapacità di formulare politiche in grado di influenzare gli orientamenti delle grandi potenze. Questo atteggiamento evoca un’immagine mostruosa che è impossibile affrontare, e che possiamo soltanto maledire ed esecrare dal punto di vista teorico, mentre ci prostriamo davanti ad essa dal punto di vista pratico. Ma si dà il caso che l’Occidente – ed al suo interno l’America – non sia né un mostruoso demone né un blocco compatto. Al suo interno esistono infatti numerose forze che non sono necessariamente ostili agli arabi, o ai popoli poveri in generale. Non è nel nostro interesse ignorare queste forze. Non abbiamo alcuna speranza di dar vita ad una politica che garantisca la nostra indipendenza ed i nostri diritti nei confronti dell’Occidente – e che ci preservi dalle sue politiche aggressive – se non riconosciamo queste forze e non interagiamo in maniera costruttiva con esse. Anzi, le forze democratiche che aspirano ad un mondo in cui regni la pace e la giustizia hanno probabilmente un peso molto maggiore in Occidente rispetto a quelle presenti all’interno dei paesi arabi. E, probabilmente, la loro capacità di sostenere le questioni arabe è molto superiore rispetto a quella delle stesse forze democratiche presenti nel mondo arabo.

Abbiamo a lungo riposto le nostre speranze di contrastare l’Occidente e le sue politiche aggressive nella venuta di un salvatore esterno. In passato avevamo riposto queste speranze nell’Unione Sovietica. Oggi sogniamo un’alleanza analoga con le potenze emergenti di Russia e Cina. Da un simile atteggiamento non ricaveremo nulla. I nostri problemi sono irrisolti ormai da tempo, ed anzi si aggravano ulteriormente. La ragione sta nel fatto che la maggior parte delle nostre difficoltà deriva da problemi che noi abbiamo con l’Occidente, e che non potremo risolvere contro di esso, o senza di esso. Inoltre, tutte le potenze sulle quali abbiamo scommesso in passato e su cui scommetteremo in futuro hanno bisogno della cooperazione con l’Occidente, ed ambiscono alla sua amicizia per salvaguardare interessi di fronte ai quali noi non contiamo nulla.

Con ciò voglio dire che possiamo resistere ad un Occidente coloniale ed imperialista, di cui siamo noi le prime vittime, soltanto attraverso un Occidente democratico e pacifico, che si impegna a favore della giustizia, nel mondo ed all’interno dell’Occidente stesso. Noi – insieme agli altri popoli che si trovano in una situazione simile alla nostra – abbiamo la responsabilità di spingere l’Occidente ad adottare una politica costruttiva. Ciò non deve avvenire soltanto costruendo intese con gli altri paesi che sono stati danneggiati dalle politiche occidentali, ma soprattutto rafforzando le intese e la cooperazione con le forze occidentali democratiche , ed aiutandole a prevalere sugli orientamenti imperialistici. Tuttavia, per riuscire in questo, dobbiamo dimostrarci noi stessi dediti ai valori di giustizia, uguaglianza e libertà, e dobbiamo dimostrare di rappresentare popoli in grado di interagire con il mondo sulla base del rispetto dell’indipendenza e della legalità. Non riusciremo a cambiare la politica dell’Occidente, e ad imporgli il rispetto dei valori democratici, se non cambieremo noi stessi, e se i nostri paesi non diventeranno essi stessi paesi democratici rispettosi della legalità e dei diritti dell’uomo.

Burhan Ghalioun è un intellettuale siriano residente a Parigi; è direttore del Centro Studi sull’Oriente Contemporaneo (CEOC) di Parigi, ed è professore di sociologia politica all’Università di Parigi III (Sorbonne Nouvelle)