Per i primi segnali di pace in Siria? Ci vorranno altri due anni

2016-05-02 :: la voce di new york

Parla Burhan Ghalioun, ideologo dell'opposizione siriana ed ex leader del Consiglio Nazionale di Transizione

 

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Mentre l'ONU con Staffan De Mistura tenta di resuscitare Ginevra 2 con l'aiuto del Segretario di Stato John Kerry che però dichiara che il conflitto è "fuori controllo", nell'intervista a La Voce una delle figure di spicco dell'opposizione siriana dice che un accordo di pace senza la condanna del regime di Assad sarà impossibile

Una scena quotidiana di Aleppo: civili feriti arrivano con mezzi di fortuna all'ospedale

di Barbara Bibbò

Sembra sempre più difficile il ripristino di una tregua in Siria, a nove giorni dalla ripresa degli scontri che hanno causato un improvviso stop ai negoziati di pace in corso a Ginevra.

In un appello alle fazioni in guerra per il cessate il fuoco, il Segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-moon si è detto lunedì preoccupato per la escalation di violenza nella città di Aleppo. “La fine della tregua può portare solo più violenza, morte e distruzione e indebolire ulteriormente gli sforzi per una soluzione negoziale,” ha dichiarato la Segreteria Generale dell’ONU in un comunicato.

A due mesi dall’inizio di Ginevra 2, il secondo round di colloqui per una risoluzione della guerra civile in Siria, la ripresa dei negoziati tra regime e opposizione è appesa a un filo. Il Segretario di Stato americano John Kerry da sabato è a Ginevra nel tentativo di riportare le parti al tavolo della trattativa ed evitare il fallimento dei negoziati. Al termine di un colloquio con l’inviato ONU per la Siria, Staffan De Mistura, Kerry ha dichiarato oggi che il conflitto siriano è “per molti versi fuori controllo”. Circa 250 civili sono stati uccise negli ultimi nove giorni, da quando si è interrotta la tregua in vigore da fine febbraio.

Gli sforzi immediati della comunità internazionale sono volti a restaurare il cessate il fuoco violato nelle ultime settimane dai bombardamenti di forze filogovernative contro postazioni ribelli a nord di Aleppo, riportando così una tregua che consenta la ripresa dei colloqui previsti il 10 maggio. Giovedì un attacco aereo su un ospedale aveva ucciso 27 persone, tra cui l’ultimo pediatra nella zona della città controllata dai ribelli. Immediato lo scambio di accuse che è seguito tra i due maggiori sponsor dei negoziati, USA e Russia. Funzionari degli Stati Uniti hanno accusato Mosca di sostenere gli attacchi di Damasco mentre il governo siriano si prepara per un intervento di terra su Aleppo.

“La Russia ha la responsabilità urgente di fare pressione affinché il regime adempia ai propri impegni ai sensi della risoluzione 2254, in particolare per fermare gli attacchi su civili, strutture mediche e di primo intervento, e di rispettare pienamente la cessazione delle ostilità”, ha detto Kerry in un comunicato.

“Non metteremo sotto pressione (Damasco) perché si deve capire che la situazione ad Aleppo è parte della lotta contro la minaccia terroristica,” ha risposto il vice ministro degli esteri russo Gennady Gatilov. Aleppo, capitale della provincia settentrionale della Siria, è un campo di battaglia di vitale importanza strategica per entrambe le parti del conflitto.

Ma per quanto sia necessario puntellare un processo negoziale vacillante, sembra difficile arrestare la crescente polarizzazione su posizioni estreme delle parti in conflitto. Da un lato il Governo di Bashar Al Assad, appoggiato da Russia e Iran. Dall’altra l’Opposizione, riunita nell’Alta Commissione per i Negoziati (HNC), che raggruppa tutte le fazioni ribelli con l’eccezione del PYD, il principale partito siriano-curdo, e i gruppi terroristici Jabat Al Nusra, Al Qaida e Stato Islamico.

I nodi da sciogliere sono diversi e cruciali per un proseguo dei colloqui: la partecipazione del PYD, escluso dai negoziati su richiesta della Turchia, il ruolo del presidente siriano Bashar Al Assad in un futuro governo di transizione, il nuovo assetto della Siria, sono ancora argomenti sui quali non solo manca l’accordo, ma le parti li ritengono diversamente prioritari nella scaletta dei colloqui.


In un’intervista in Qatar, gli abbiamo chiesto se i colloqui di Ginevra 2 siano sulla strada giusta.Burhan Ghalioun, ideologo di spicco nel movimento di opposizione in esilio è stato il primo presidente del Consiglio Nazionale di Transizione creato all’indomani dell’inizio del conflitto. Sociologo, noto oppositore del regime, Ghalioun partecipò alla cosiddetta “primavera di Damasco”, un periodo di intensa attività di opposizione politica iniziata dopo la morte del Presidente Hafez al-Assad nel giugno del 2000 e proseguita fino all’autunno del 2001 e poi soppressa dal regime.

“L’Opposizione non ha mai creduto nella volontà del regime di Assad di impegnarsi seriamente nelle negoziazioni per ottenere un accordo sulla transizione. La questione siriana non troverà soluzione finché le due parti non arriveranno a un accordo chiaro e definitivo su un pesante contenzioso che va ben oltre la disputa sulla Siria. Oggi siamo consapevoli che la Siria è diventata moneta di scambio sia per la Russia che per l’Iran per piegare l’Occidente o trarne concessioni”.

 

Parliamo dei nodi irrisolti che ostacolano le negoziazioni. Ancora non c’è accordo sulla partecipazione o meno del partito curdo siriano del PYD. Richiesta reiterata dalla Russia pochi giorni fa (27 aprile). E’ giusto lasciare il PYD fuori dal tavolo negoziale?

“Certo che no, ma non tutti i curdi sono del PYD. Il Consiglio Nazionale Curdo che raggruppa diversi partiti politici curdi è parte della Coalizione di Opposizione ed è ben rappresentato nel gruppo negoziale. Nonostante ciò a mio avviso non dovremmo escludere il PYD, ma non prima che il gruppo abbandoni le sue mire sulla regione nord orientale della Siria, contro il volere di altri curdi e arabi. Il PYD deve rinunciare al progetto di creare un suo pseudo stato favorendo così le pressioni esistenti per uno smembramento della Siria. Il PYD vuole dettare le sue ragioni con la forza e imporle al resto dei siriani”.

 

L’Opposizione rappresentata dal HNC è contraria a una divisione della Siria. E’ una posizione negoziabile?

“No. I siriani, coloro che hanno combattuto per cinque anni, non parlano di partizione. Sanno che ciò vorrebbe dire l’inizio di altre guerre ancora più devastanti. Finora solo diplomatici stranieri, che non conoscono la realtà siriana, pensano che questa possa essere una soluzione. Ma è il contrario. La soluzione è in uno stato democratico e pluralista con condizioni speciali per le regioni che pongono particolari questioni identitarie e politiche. I siriani potranno pensare poi, all’interno di istituzioni politiche legittime, quale forma di federalismo o decentralizzazione mettere in atto per il loro stato”.

 

Il futuro di Assad è uno dei maggiori motivi di scontro. I russi sostengono che il ruolo di Assad si possa discutere in un secondo momento e che prima sia necessario decidere che assetto avrà il Paese.

“Assad non ha futuro in Siria. È considerato dalla maggioranza dei siriani come il primo responsabile della nostra tragedia. Non deve sfuggire alla giustizia. Molte organizzazioni dei diritti umani sono pronte a processarlo”.

 

Tuttavia ha il sostegno della Russia ed il suo esercito sta ottenendo importanti vittorie sullo Stato Islamico. Secondo Lei in questo momento ha un vantaggio politico sull’opposizione?

“Non credo. Se la Russia ed Assad continuano a manovrare per prevenire un reale cambiamento del regime dittatoriale e delle sue istituzioni, allora avremo un nuovo Afghanistan. E nessuno vincerà”.

 

Se i colloqui di Ginevra fallissero, l’Opposizione che alternativa avrebbe?

“Nessuna. L’opposizione deve continuare a combattere politicamente, diplomaticamente e militarmente finché ci sarà un compromesso che soddisfi le aspirazioni essenziali della gente, passando per lo smantellamento della dittatura fino alla messa in atto di un processo politico che crei un sistema pluralista e democratico, come già deciso dalla dichiarazione di Ginevra del giugno 2012 e dalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza. Se l’Opposizione accetta di condividere la transizione di potere con personalità del regime attuale, ciò è solo per garantire un migliore controllo del processo di democratizzazione e non per riabilitare il regime fascista di Bashar Al Assad”.

 

Realisticamente, quanto siamo distanti da una risoluzione del conflitto?

“Ci vorranno almeno altri due anni, prima di poter vedere i primi raggi di luce”.